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2016 | "mirino" di raymond carver

Un racconto di Raymond Carver | Mirino 



Un uomo senza mani si è presentato alla porta per ven-
dermi una foto di casa mia. A parte gli uncini cromati, era
un cinquantenne come tanti.
    - Come le ha perdute le mani? - gli ho chiesto, dopo
che m'aveva detto che cosa voleva.
    - Quella è un'altra storia, - ha risposto. - Insomma,
questa foto la vuole o no?
    - S'accomodi, - ho detto io. - Ho appena fatto il caffè.
    Avevo appena fatto anche della gelatina di frutta, ma
quello non gliel'ho detto.
    - Avrei bisogno del bagno, - è stata la risposta dell'uo-
mo senza mani.
    Volevo proprio vedere come avrebbe retto la tazzina
di caffè con quegli uncini. Sapevo già come faceva a fare
le foto. Aveva una grossa Polaroid nera. Era attaccata a
delle cinghie di cuoio che gli giravano attorno alle spalle
e alla schiena e gliela assicuravano al petto. Si piazzava
sul marciapiedi davanti alla casa, l'inquadrava nel miri-
no, spingeva una levetta con uno dei suoi uncini e dopo
un attimo saltava fuori la foto. L'avevo osservato dalla
finestra.
    - Dove ha detto che è il bagno?
    - Laggiù, sulla destra.
    Intanto, abbassandosi e contorcendosi, si era liberato
delle cinghie. Ha appoggiato la macchina fotografica sul
divano e si è rassettato la giacca.  - Le dia un'occhiata men-
tre sono di là.
     Ho preso la foto che mi porgeva. Si vedeva un rettan-
golino di prato, il vialetto, la rimessa, gli scalini dell'in-
gresso, il bovindo e la finestra della cucina. Che ci facevo
con la foto di questa tragedia? Ho guardato con più atten-
zione e ho visto la sagoma della mia testa, la mia testa, die-
tro la finestra della cucina, a pochi passi dal lavello. Ho
guardato un po' quella foto e poi ho sentito lo sciacquone
in bagno. E' spuntato dal corridoio, ben vestito e sorri-
dente, con uno degli uncini che teneva la cintura e l'altro
che c'infilava dentro la camicia.
    - Allora , che ne pensa?  - ha detto.  - Siamo d'accordo?
Personalmente, mi pareva venuta bene, ma sa com'è, io so
quel che faccio e poi, ammettiamolo, mica è difficile foto-
grafare una casa. A meno che il tempo sia inclemente, però
in tal caso non lavoro se non all'interno. Sa no, lavori spe-
ciali, su ordinazione -. Si è dato un'aggiustatina al cavallo.
    - Ecco il caffè, gli ho detto.
    - Vive solo, vero?  - Ha rivolto un'occhiata al soggior-
no. Poi ha scosso la testa.  - E' dura. E' dura  -. Si è seduto
accanto alla macchina fotografica, si è appoggiato allo schie-
nale con un sospiro e ha chiuso gli occhi.
    - Prenda il caffè,  - gli ho detto. Mi sono seduto sul la-
to opposto al suo. Una settimana prima, tre ragazzi con
un berrettino da baseball si erano presentati a casa.
Uno di loro aveva detto:  - Signore, possiamo dipingerle l'indi-
rizzo sul bordo del marciapiedi? Lo stanno facendo tutti
su questa strada. Solo un dollaro -. Gli altri due ragazzi
aspettavano un po' più in là e uno di loro aveva un barat-
tolo di vernice bianca tra i piedi, mentre l'altro aveva in
mano un pennello. Tutti e tre avevano le maniche della
camicia arrotolate.
    - Qualche tempo fa sono venuti tre ragazzi che vole-
vano dipingere il mio indirizzo sul bordo del marciapiedi.
Anche loro volevano un dollaro. Non è che ne sa qualco-
sa eh?  - L'avevo buttata lì. Ad ogni modo l'ho studiato
ben bene.
     Lui si è chinato in avanti per darsi importanza, con la
tazza in equilibrio tra gli uncini. Con attenzione l'ha appog-
giata sul tavolinetto. Mi ha guardato.  - E' assurdo sa? Io
lavoro da solo. L'ho sempre fatto e sempre lo farò. Che
vuol dire?
    - Cercavo di stabilire un collegamento,  - ho detto. Ave-
vo un gran mal di testa. Il caffè non lo cura affatto, men-
tre la gelatina di frutta qualche volta aiuta. Ho preso in
mano la foto.  - Ero in cucina,  - ho detto.
    - Lo so. L'ho vista dalla strada.
    - Succede spesso? Cioè, riprendere qualcuno insieme
alla casa? Di solito io sto sul retro.
    - Succede sempre, ha detto lui.  - Così si va a colpo
sicuro. A volte mi vedono mentre scatto la foto e vengo-
no fuori ad assicurarsi che gli includa nella foto. Magari è
la signora che vuole che fotografi il maritino che lava la
macchina. Oppure è l'erede che falcia il prato e lei mi di-
ce: lo riprenda, lo riprenda, e io lo riprendo. Oppure la fa-
migliola è raccolta sul portico per un bel pranzetto e allo-
ra se magari gli faccio il favore...  - La sua gamba destra
ha cominciato a ballare su e giù.  - Insomma, hanno preso
e se ne sono andati tutti, eh? Hanno fatto le valigie e se
ne sono andati. Fa male. Di ragazzi non so niente. Non
più almeno. Non mi piacciono, i ragazzi. Neanche i miei.
Come ho detto, lavoro da solo. Allora, la foto?
    - La prendo, - ho detto io. Mi sono alzato e ho tirato
fuori le tazze.  - Lei non è di queste parti. Dove abita?
    - Al momento ho una stanza giù in centro. Non è ma-
le. Me ne vado in periferia con l'autobus, sa? E una vol-
ta battuti tutti i quartieri mi sposto da qualche altra par-
te. C'è di meglio, ma io me la cavo così.
   - E i suoi ragazzi?  - Sono rimasto in attesa con le taz-
ze in mano a guardarlo mentre si sforzava di alzarsi dal di-
vano.
    - Che vadano 'affanculo. E ci vada pure la madre! De-
vo dire grazie a loro se sono ridotto così -. Mi ha messo
gli uncini sotto al naso. Poi si è voltato e ha cominciato a
rinfilarsi le cinghie.  - Mi piacerebbe perdonare e dimen-
ticare, sa, ma non ci riesco. Fa ancora male. Il problema è
tutto lì: non riesco ne a perdonare ne a dimenticare.
     Ho guardato di nuovo gli uncini che armeggiavano con
le cinghie. Era fantastico osservare quello che riusciva a
farci, con quegli uncini.
    - Grazie per il caffè e per il bagno. Adesso è lei che at-
traversa un momentaccio. Ha tutta la mia simpatia -. Ha
alzato e ribassato gli uncini.  - Ma che posso fare?
    - Scattare altre foto, - gli ho risposto. - Voglio che scat-
ti foto di me e della casa.
    - Non funzionerà, - ha detto. - Lei non tornerà.
    - Ma io non voglio mica che torni, - ho detto io.
    Ha fatto uno sbuffo. Mi ha guardato. - Le posso fare
uno sconto, - ha detto. - Tre foto a un dollaro? Di meno
ci rimetto.
Siamo usciti. Ha regolato l'otturatore. Mi ha indicato
un posto e ci siamo messi al lavoro. Abbiamo girato tutta
la casa. In maniera sistematica. A volte mi mettevo di pro-
filo. Altre volte fissavo l'obiettivo. Il solo fatto d'essere
all'esterno mi faceva sentire meglio.
    - Così, - diceva. Questa è buona. Quest'altra è ve-
nuta proprio bene. Vediamo un po',  - ha concluso dopo
che avevamo fatto tutto il giro della casa ed eravamo tor-
nati sul vialetto. - In tutto sono venti. Ne vuole altre?
     - Altre due o tre, - ho detto io. Sul tetto. Io salgo su
e lei mi riprende da qua sotto.
     - Gesù, - ha detto lui. Ha guardato su e giù per la stra-
da.  -Be', va bene, facciamolo... però stia attento.
     - Aveva ragione, sa, - ho detto io. - Hanno preso e se ne
sono andati. Baracca e burattini. Ci ha proprio azzeccato.
     L'uomo senza mani ha detto:  - Non c'era bisogno che
dicesse una parola. L'ho capito  dal momento in cui ha aper-
to la porta -. Ha agitato gli uncini verso di me. - Si sen-
te come se lei le avesse scavato la terra da sotto i piedi!
Come se le avesse tagliato le gambe. Guardi qua! Ecco co-
me ti riducono. Che vadano 'affanculo, - ha detto. - Al-
lora, vuole salire su quel tetto o no? Devo andare , - ha
detto l'uomo.
     Ho portato fuori una sedia e l'ho messa sotto la tettoia
della rimessa. Però ancora non ci arrivavo. Lui era in pie-
di in mezzo al vialetto e mi guardava. Ho trovato una cas-
setta e l'ho piazzata sulla sedia. Sono salito sulla sedia e
poi sulla cassetta. Mi sono issato sopra la rimessa e ho rag-
giunto il tetto. Mi sono avventurato sulle tegole carponi
fino a uno spiazzo piatto vicino al comignolo. Mi sono al-
zato in piedi e ho guardato tutt'intorno. C'era un bel ven-
ticello. L'ho salutato con la mano, lui ha risposto al salu-
to con entrambi gli uncini. E' stato allora che ho visto i
sassi. C'era come un piccolo nido di sassi sulla retina che
proteggeva il comignolo. Dei ragazzini dovevano averce-
li tirati nel tentativo di centrare il comignolo.
    Ne ho raccolto uno. - Pronto? - ho gridato.
    Lui mi ha inquadrato nel mirino.
    - Pronto, - ha risposto.
    Mi sono voltato e ho tirato indietro il braccio. - Ora!
- ho gridato. Ho lanciato quel sasso con tutta la forza che
avevo, verso sud.
     - Non so, - l'ho sentito dire. - Si è mosso, - ha detto.
- Tra un attimo vediamo, - e infatti dopo un attimo ha
detto:  - Perdio, è venuta bene -. Se la stava rimirando.
Poi l'ha sollevata verso di me. - Sa una cosa? - ha detto.
- E' venuta benissimo.
    - Rifacciamolo, - gli ho gridato io. Ho preso un altro
sasso. Ho sorriso. Mi sentivo pronto a decollare. A
volare.
    - Ora! - ho gridato.



Raymond Carver
Principianti | Mirino
Einaudi, 2009

"Principianti" è la versione originale dei diciassette racconti
scritti da Raymond Carver e pubblicati in forma rimaneggiata
dall'editor con titolo "Di che cosa parliamo quando parliamo
d'amore" da Alfred A. Knopf nell'aprile del 1981