Un racconto di Raymond Carver | Mirino
Un uomo senza mani si è presentato alla porta per ven-
dermi una foto di casa mia. A parte gli uncini cromati,
era
un cinquantenne come tanti.
- Come
le ha perdute le mani? - gli ho chiesto, dopo
che m'aveva detto che cosa voleva.
- Quella è
un'altra storia, - ha risposto. - Insomma,
questa foto la vuole o no?
- S'accomodi, -
ho detto io. - Ho appena fatto il caffè.
Avevo appena
fatto anche della gelatina di frutta, ma
quello non gliel'ho detto.
- Avrei
bisogno del bagno, - è stata la risposta dell'uo-
mo senza mani.
Volevo proprio
vedere come avrebbe retto la tazzina
di caffè con quegli uncini. Sapevo già come faceva a fare
le foto. Aveva una grossa Polaroid nera. Era attaccata a
delle cinghie di cuoio che gli giravano attorno alle
spalle
e alla schiena e gliela assicuravano al petto. Si
piazzava
sul marciapiedi davanti alla casa, l'inquadrava nel miri-
no, spingeva una levetta con uno dei suoi uncini e dopo
un attimo saltava fuori la foto. L'avevo osservato dalla
finestra.
- Dove ha detto
che è il bagno?
- Laggiù, sulla destra.
Intanto,
abbassandosi e contorcendosi, si era liberato
delle cinghie. Ha appoggiato la macchina fotografica sul
divano e si è rassettato la giacca. - Le dia un'occhiata men-
tre sono di là.
Ho preso la foto che mi porgeva. Si vedeva un
rettan-
golino di prato, il vialetto, la rimessa, gli scalini
dell'in-
gresso, il bovindo e la finestra della cucina. Che ci
facevo
con la foto di questa tragedia? Ho guardato con più atten-
zione e ho visto la sagoma della mia testa, la mia testa, die-
tro la finestra della cucina, a pochi passi dal lavello. Ho
guardato un po' quella foto e poi ho sentito lo
sciacquone
in bagno. E' spuntato dal corridoio, ben vestito e sorri-
dente, con uno degli uncini che teneva la cintura e
l'altro
che c'infilava dentro la camicia.
- Allora , che
ne pensa? - ha detto. - Siamo d'accordo?
Personalmente, mi pareva venuta bene, ma sa com'è, io so
quel che faccio e poi, ammettiamolo, mica è difficile
foto-
grafare una casa. A meno che il tempo sia inclemente,
però
in tal caso non lavoro se non all'interno. Sa no, lavori
spe-
ciali, su ordinazione -. Si è dato un'aggiustatina al cavallo.
- Ecco il caffè, gli ho detto.
- Vive solo, vero? - Ha rivolto un'occhiata al soggior-
no. Poi ha scosso la testa. - E' dura. E' dura -. Si è seduto
accanto alla macchina fotografica, si è appoggiato allo
schie-
nale con un sospiro e ha chiuso gli occhi.
-
Prenda il caffè, - gli ho detto. Mi sono
seduto sul la-
to opposto al suo. Una settimana prima, tre ragazzi con
un berrettino da baseball si erano presentati a casa.
un berrettino da baseball si erano presentati a casa.
Uno di loro aveva detto:
- Signore, possiamo dipingerle l'indi-
rizzo sul bordo del marciapiedi? Lo stanno facendo tutti
su questa strada. Solo un dollaro -. Gli altri due
ragazzi
aspettavano un po' più in là e uno di loro aveva un barat-
tolo di vernice bianca tra i piedi, mentre l'altro aveva
in
mano un pennello. Tutti e tre avevano le maniche della
camicia arrotolate.
-
Qualche tempo fa sono venuti tre ragazzi che vole-
vano dipingere il mio indirizzo sul bordo del
marciapiedi.
Anche loro volevano un dollaro. Non è che ne sa qualco-
sa eh? - L'avevo
buttata lì. Ad ogni modo l'ho studiato
ben bene.
Lui si è chinato in avanti per darsi
importanza, con la
tazza in equilibrio tra gli uncini. Con attenzione l'ha
appog-
giata sul tavolinetto. Mi ha guardato. - E' assurdo sa? Io
lavoro da solo. L'ho sempre fatto e sempre lo farò. Che
vuol dire?
-
Cercavo di stabilire un collegamento, -
ho detto. Ave-
vo un gran mal di testa. Il caffè non lo cura affatto,
men-
tre la gelatina di frutta qualche volta aiuta. Ho preso
in
mano la foto. - Ero
in cucina, - ho detto.
- Lo
so. L'ho vista dalla strada.
- Succede spesso? Cioè, riprendere qualcuno
insieme
alla casa? Di solito io sto sul retro.
-
Succede sempre, ha detto lui. - Così si
va a colpo
sicuro. A volte mi vedono mentre scatto la foto e vengo-
no fuori ad assicurarsi che gli includa nella foto. Magari
è
la signora che vuole che fotografi il maritino che lava
la
macchina. Oppure è l'erede che falcia il prato e lei mi
di-
ce: lo riprenda, lo
riprenda, e io lo riprendo. Oppure la fa-
migliola è raccolta sul portico per un bel pranzetto e
allo-
ra se magari gli faccio il favore... - La sua gamba destra
ha cominciato a ballare su e giù. - Insomma, hanno preso
e se ne sono andati tutti, eh? Hanno fatto le valigie e
se
ne sono andati. Fa male. Di ragazzi non so niente. Non
più almeno. Non mi piacciono, i ragazzi. Neanche i miei.
Come ho detto, lavoro da solo. Allora, la foto?
- La
prendo, - ho detto io. Mi sono alzato e ho tirato
fuori le tazze. -
Lei non è di queste parti. Dove abita?
- Al
momento ho una stanza giù in centro. Non è ma-
le. Me ne vado in periferia con l'autobus, sa? E una vol-
ta battuti tutti i quartieri mi sposto da qualche altra
par-
te. C'è di meglio, ma io me la cavo così.
- E i
suoi ragazzi? - Sono rimasto in attesa
con le taz-
ze in mano a guardarlo mentre si sforzava di alzarsi dal
di-
vano.
- Che
vadano 'affanculo. E ci vada pure la madre! De-
vo dire grazie a loro se sono ridotto così -. Mi ha messo
gli uncini sotto al naso. Poi si è voltato e ha cominciato
a
rinfilarsi le cinghie.
- Mi piacerebbe perdonare e dimen-
ticare, sa, ma non ci riesco. Fa ancora male. Il problema
è
tutto lì: non riesco ne a perdonare ne a dimenticare.
Ho
guardato di nuovo gli uncini che armeggiavano con
le cinghie. Era fantastico osservare quello che riusciva
a
farci, con quegli uncini.
- Grazie per il
caffè e per il bagno. Adesso è lei che at-
traversa un momentaccio. Ha tutta la mia simpatia -. Ha
alzato e ribassato gli uncini. - Ma che posso fare?
-
Scattare altre foto, - gli ho risposto. - Voglio che scat-
ti foto di me e della casa.
- Non
funzionerà, - ha detto. - Lei non tornerà.
- Ma io non voglio mica che torni, - ho detto
io.
Ha fatto uno sbuffo. Mi ha guardato. - Le
posso fare
uno sconto, - ha detto. - Tre foto a un dollaro? Di meno
ci rimetto.
Siamo usciti. Ha regolato l'otturatore. Mi ha indicato
un posto e ci siamo messi al lavoro. Abbiamo girato tutta
la casa. In maniera sistematica. A volte mi mettevo di
pro-
filo. Altre volte fissavo l'obiettivo. Il solo fatto
d'essere
all'esterno mi faceva sentire meglio.
- Così,
- diceva. Questa è buona. Quest'altra è ve-
nuta proprio bene. Vediamo un po', - ha concluso dopo
che avevamo fatto tutto il giro della casa ed eravamo tor-
nati sul vialetto. - In tutto sono venti. Ne vuole altre?
- Altre due o tre, - ho detto io. Sul tetto.
Io salgo su
e lei mi riprende da qua sotto.
-
Gesù, - ha detto lui. Ha guardato su e giù per la stra-
da. -Be', va bene,
facciamolo... però stia attento.
-
Aveva ragione, sa, - ho detto io. - Hanno preso e se ne
sono andati. Baracca e burattini. Ci ha proprio
azzeccato.
L'uomo senza mani ha detto: - Non c'era bisogno che
dicesse una parola. L'ho capito dal momento in cui ha aper-
to la porta -. Ha agitato gli uncini verso di me. - Si
sen-
te come se lei le avesse scavato la terra da sotto i
piedi!
Come se le avesse tagliato le gambe. Guardi qua! Ecco co-
me ti riducono. Che vadano 'affanculo, - ha detto. - Al-
lora, vuole salire su quel tetto o no? Devo andare , - ha
detto l'uomo.
Ho portato
fuori una sedia e l'ho messa sotto la tettoia
della rimessa. Però ancora non ci arrivavo. Lui era in
pie-
di in mezzo al vialetto e mi guardava. Ho trovato una cas-
setta e l'ho piazzata sulla sedia. Sono salito sulla
sedia e
poi sulla cassetta. Mi sono issato sopra la rimessa e ho
rag-
giunto il tetto. Mi sono avventurato sulle tegole carponi
fino a uno spiazzo piatto vicino al comignolo. Mi sono al-
zato in piedi e ho guardato tutt'intorno. C'era un bel
ven-
ticello. L'ho salutato con la mano, lui ha risposto al
salu-
to con entrambi gli uncini. E' stato allora che ho visto
i
sassi. C'era come un piccolo nido di sassi sulla retina
che
proteggeva il comignolo. Dei ragazzini dovevano averce-
li tirati nel tentativo di centrare il comignolo.
Ne ho raccolto
uno. - Pronto? - ho gridato.
Lui mi ha
inquadrato nel mirino.
- Pronto, - ha
risposto.
Mi sono voltato
e ho tirato indietro il braccio. - Ora!
- ho gridato. Ho lanciato quel sasso con tutta la forza
che
avevo, verso sud.
- Non so, - l'ho sentito dire. - Si è mosso, -
ha detto.
- Tra un attimo vediamo, - e infatti dopo un attimo ha
detto: - Perdio, è
venuta bene -. Se la stava rimirando.
Poi l'ha sollevata verso di me. - Sa una cosa? - ha
detto.
- E' venuta benissimo.
- Rifacciamolo,
- gli ho gridato io. Ho preso un altro
sasso. Ho sorriso. Mi sentivo pronto a decollare. A
volare.
- Ora! - ho
gridato.
Raymond Carver
Principianti | Mirino
Principianti | Mirino
Einaudi, 2009
"Principianti" è la versione originale dei diciassette racconti
scritti da Raymond Carver e pubblicati in forma rimaneggiata
dall'editor con titolo "Di che cosa parliamo quando parliamo
d'amore" da Alfred A. Knopf nell'aprile del 1981
"Principianti" è la versione originale dei diciassette racconti
scritti da Raymond Carver e pubblicati in forma rimaneggiata
dall'editor con titolo "Di che cosa parliamo quando parliamo
d'amore" da Alfred A. Knopf nell'aprile del 1981